Quando apri la porta c’è un buio pesto e sono le narici che ne hanno la prima impressione: un odore misto di umano, di polvere sedimentata, legno stagionato e calce scrostata. Come una casa chiusa da tanti anni. Eppure la porta si apre tutti i giorni e l ‘aria vi penetra dentro. Percorre i grandi ed alti spazi ma è, poi, come catturata dalle spesse pareti e nell’arco di una giornata lentamente appassisce. È il nostro teatro a MO.CA.
MO.CA è un edificio storico magnificamente infiocchettato da un restauro ben riuscito che fa apparire tutto lustro, nascondendo un mondo che ribolle, non propriamente tale.
Dentro il teatro c’è una vita che brulica tutti i giorni dalla mattina presto: qualche anima pia prova pena per i poveri lavoratori ed infonde qualche profumo di croissant o torta della nonna, la macchina macina rumorosa chicchi di caffè – si rompe sempre ma per fortuna che ce l’hanno regalata – e si inizia così ad aprire tutte le tante porte e finestre. Alle 9.00 apriamo le porte al gruppo di teatro della mattina… chiamarli anziani o terza età ci dicono che è offensivo e poi negli anni i nostri vecchietti hanno dimostrato di essere molto più arzilli di altri gruppi producendo spettacoli, partecipando attivamente alla vita associativa e condividendo momenti importanti per la residenza come lo spettacolo con 100 attori che ha invaso la città.
Poco dopo apri le porte del teatro agli artisti delle varie compagnie in residenza. Decisamente più pericolosi: tutti li evitano perché sono sempre notoriamente invadenti. Sei sicuro che ti diranno che non hanno dormito bene, che hanno bisogno di un oggetto il più astruso possibile (un ventilatore a molle, un cassettone rosa, una animale, un topo, un gatto, un cane delle praterie…) che sono terribilmente ammalati e che non guariscono, che il teatro è freddo o caldo o manca l’aria condizionata o… Ed in fondo li guardi, respiri profondamente e cerchi di aiutarli perché sai che stanno girando come una trottola in Italia o in Europa, magari da mesi senza tornare a casa, ampiamente sottopagati e maltrattati. Sai che il fuoco dell’arte si sta mangiando letteralmente un pezzo della loro vita e quando se ne accorgeranno sarà troppo tardi.
E poi, partano i balli: telefonate, molte telefonate ad istituzioni, ai corsisti, alle associazioni, ai creditori, agli artisti, agli amici, camminate isteriche, corse per recuperare i materiali, picchiettare dei tanti computer, uno che scatta foto e video perché mai far passare un giorno su Facebook senza postare nulla, meglio mettere una stupidaggine che è poi è quella che ha più successo (ed allora ti domandi che mondo è quello, ma è un altro discorso) qualche litigio sedato preventivamente, i direttori che starnazzano animatamente nei loro uffici ed escono furiosi, si fiondano nel bagno-pensatoio. Il nostro bagno ha una turca scomoda e quindi è meglio utilizzare quello da basso in comune con gli altri inquilini di MO.CA. il bagno-pensatoio è l’unico spazio in cui sei da solo e respiri, per modo di dire, qualche odore fetido ma almeno lontano dai colleghi, oppure puoi sempre scegliere di uscire sul pianerottolo aperto abbracciarti alla poltrona di plastica Ikea e fumarti una sigaretta sperando che ti annebbi la vista. Lo spazio è piccolo. Tre uffici per otto persone, tante teste, tante idee … a volte l’aria diventa rovente fino a che suona il forno a microonde. Pranzo. Pietanze riscaldate… si infonde un odore di cibo, biologico, testato, sano e sempre una invidia tremenda per le lasagne preparate dalla mamma. Tregua per tutti. È il momento delle chiacchere futili.
Ore 14.00 apriamo le porte ai gruppi di extracomunitari con cui lavoriamo da diversi anni. In realtà loro sono sempre diversi: se pur minorenni, chi di loro ha la fortuna di rimanere nello stesso posto per più di un anno è una rarità. Eppure, esprimono spesso le stesse necessità: avere una casa loro, un cellullare e naturalmente una fidanzata per cui la prima domanda che ci pongono sempre è “ma non ci son ragazze italiane al corso?” e come fai a dirglielo che alla stessa domanda posta agli operatori sociali ci è stato risposto che “per proteggerli è proprio meglio di no, l’integrazione è un sogno, gli italiani non sono pronti…”. ed allora rispondi che siamo tutti gay da queste parti; loro arrossiscono perché argomento tabù dalle loro parti e per un po’ si chetano.
“I neri puzzano” dicono, eppure, quando lasciano la saletta in cui lavorano, c’è quasi un profumo dolce di mandorla. Tanto che lo sparuto gruppo di adolescenti di buona famiglia che frequentano il corso successivo per meglio esprimere i loro potenziali creativi, pensano che ci siano delle ragazze prima di loro. Mi dicono che quello è profumo di ragazza.
Appunto i ragazzi italiani: perché sono così pochi? Perché facciamo fatica a coinvolgerli? Andiamo in molte scuole e siamo efficaci ed allora perché non vengono a trovarci a teatro? Perché fanno carte false per andare ad un concerto e non ad uno spettacolo? Come renderli protagonisti? Questo sappiamo è la nostra sfida attuale? Qualche risultato c’è stato ma sembra che vadano conquistati uno ad uno. Uno dal corso di teatro che si da disponibile per fare da volontariato per le serate del festival, un altro da una scuola che è incuriosito di apprendere i misteri del light designer, un altro che vorrebbe darci una mano sui social.
La sera ci dividiamo in mille. C’è chi apre il teatro per la prova aperta dello spettacolo in residenza, c’è chi si fionda in provincia per la programmazione nei piccoli paesini, c’è chi si occupa dei tanti corsi per adulti nelle sale attigue al teatro, c’è chi si occupa delle riunioni coi vari gruppi di programmazione delle attività. Ormai da qualche anno quella che riscuote più successo è quella di OpenUp, un festival sulla identità sessuale. Vengono le associazioni LGBT, quelle che si occupano dei diritti, quelle delle donne, quelle dei migranti, quelle dei genitori. Si parla tanto, ci si confronta e insieme si decide cosa proporre il weekend del 17 maggio giornata contro l’omofobia.
Se Dio vuole a notte fonda chiudiamo i cancelli.
Tutti lasciano un segno magari anche poco tangibile ma almeno un loro odore rimane, quello odore di umano, di polvere sedimentata, di legno stagionato e calce scrostata. Un odore che quando entri penetra nelle narici e le inebria. Un odore che non di aspetteresti certo guardando il palazzo così elegante. È un odore che ci piace e ci fa venire la voglia di tornare tutti i giorni.